Alla riscoperta della Liberazione toscana

La festa repubblicana della Liberazione, il 25 Aprile, sollecita noi Toscani ad adempiere fino in fondo alla missione lasciateci dai nostri padri costituenti del Comitato Toscano di Liberazione Nazionale: dare piena attuazione a un rimodernato e avanzato autogoverno della Toscana, per chiudere definitivamente con il fascismo. La barbarie fascista, ricordiamolo, fu non tanto una degenerazione ma la conseguenza del centralismo e del nazionalismo dello stato sabaudo. Nell’Italia e nell’Europa di oggi, ancora più di sempre, l’antifascismo deve consistere in un maturo e serio anticentralismo.

Per questa bella giornata del 25 aprile 2018, il Comitato Libertà Toscana vi propone alcuni stralci introduttivi da una opera impegnativa: “Il tempo della Regione – La Toscana”, a cura di Pier Luigi Ballini, Maurizio Degl’Innocenti, Mario G. Rossi, pubblicata nel 2005 da Giunti. Lo stemma che riproduciamo in questo articolo è il “Pegaso” che fu adottato come simbolo dal Comitato Toscano di Liberazione Nazionale e che poi è diventato anche il simbolo della moderna regione Toscana.

Dal «via i prefetti» alla Regione.
Politica e cultura del regionalismo in Toscana 1945-1970
(Mario G. Rossi)

La scelta di un deciso decentramento dello Stato nazionale e la sostituzione di
un articolato sistema di autonomie, incardinato sulle Regioni e aperto in qual-
che caso anche alIa praspettiva del federalismo, allo Stato accentrato rappre-
senta uno dei principali terreni di convergenza delle forze politiche antifasci-
ste nella Resistenza, al di la della lora diversa ispirazione ideologica. Come ha
osservato Raffaele Romanelli, partendo dal presupposto «che l’autoritarismo
fascista avesse portato alle estreme conseguenze la vocazione centralistica del
liberalismo italiano, per Ie nuove forze politiche costruire uno Stato del tutto
nuovo significava invertire quella tendenza starica e ‘partire dal basso’, e dun-
que dalla societa e dalle sue articolazioni naturali e primarie, territorialmente,
storicamente e socialmente radicate».
Questa orientamento generalizzato trova in Toscana la sua espressione pili
compiuta e avanzata. La rattura della continuita dello Stato si traduce fin da-
gli inizi per il Comitato Toscano di Liberazione Nazionale [CTLN] nell’obiettivo del-
l’ abolizione dell’istituto prefettizio. La «soppressione immediata dell’organo-
simbolo dell’accentramento statale» avrebbe dovuto accompagnarsi al trasfe-
rimento delle sue funzioni ai CLN, in quanto organi di potere democratico
muoventi dal basso ed espressione di un’autonomia alternativa al sistema cen-
tralistico. Con grande chiarezza sull’organo del CTLN, «La Nazione del Popo-
lo», Tristano Codignola riassumeva i termini della questione, nel corso del ser-
rato confronto avviato dai dirigenti della Resistenza toscana col governo Bo-
nomi sul rinnovamento democratico delle istituzioni e il ruolo dei CLN suI
piano nazionale e su quello locale. (…)

Risoltosi [purtroppo] a favore del Governo di Roma, e quindi del ripristino della tradi-
zione centralistica col reinsediamento dei prefetti, in particolare di quelli di
carriera al posto dei pochi di estrazione politica, lo scontro del 1944 con Bo-
nomi [allora presidente del consiglio dell’Italia ancora non uscita completamente
dalla guerra], l’abolizione del prefetto rimane una sorta di filo rosso che percorre Ie
pagine di tante riviste politiche e culturali, sulle quali si sviluppa il dibattito
tra Ie forze politiche toscane negli anni della ricostruzione, mantenendo aper-
ta la prospettiva della riforma regionale e incontrandosi successivamente in
questa direzione con la battaglia autonomistica condotta dalle forze dell’op-
posizione di sinistra contro i governi centristi. Via i prefetti è il significativo
titolo di un trafiletto comparso suI primo numero del «Ponte», a firma del
cattolico Vittore Branca; la parola d’ ordine, già lanciata da Einaudi, vi vie-
ne ripresa come premessa necessaria per l’affermazione effettiva delle auto-
nomie locali. (…)

I partiti in Toscana:
Tra governo e opposizione
(Sandro Rogari, Marco Pignotti)

1. Fra il centro e la periferia. Regione Toscana: un esordio difficile

L’autonomia intesa come decentramento e come autogoverno è stata una con-
quista difficile da raggiungere nella storia unitaria italiana, pur essendo stata
alimentata in taluni casi, come in Toscana, da una cultura di profondo radi-
camento storico. Nel territorio dell’ex Granducato e sotto il governo provvi-
sorio di Ricasoli il plebiscito del marzo 1860 verte sull’unione, non l’annes-
sione, con il Regno di Sardegna e la differenza era sostanziale. L’unione, in-
fatti, presupponeva nel quadro dell’autonomia la sopravvivenza dell’identita
toscana: della sua storia, il che va da sé, ma anche del suo autogoverno, dei
suoi istituti civili, del suo essere luogo privilegiato d’elaborazione d’alta cul-
tura e libera accademia (…).
La storia ebbe un altro corso e lo stesso Ricasoli, erede di Cavour, nella sua
qualita di presidente del Consiglio del Governo nazionale, consolidò il cen-
tralismo amministrativo dello Stato italiano neonato. Barone di ferro si op-
pose all’istituzione delle Regioni come organo di decentramento amministra-
tivo secondo la formula proposta da Minghetti. Non lo fece certo contro gli
interessi della Toscana, anche se dai vari campanili della Toscana saliva il ti-
more dell’egemonia di Firenze in caso di istituzione della Regione. Prevalsero
altre motivazioni che riguardavano piuttosto la realtà meridionale per Ie for-
me di rivolta antiunitaria che si andavano manifestando (…).

[Ai Toscani] Non era di per se gradito divenire capitale del nuovo centralismo; non erano
il dominio e l’omologazione del resto del paese che la Toscana andava ricer-
cando. Era la specificità perduta, almeno in parte, sul piano amministrativo e
ordinamentale e che si voleva salvare suI terreno della cultura e dell’alta for-
mazione. Essere sede di due Università, a Pisa e a Siena, della Scuola Norma-
le e dell’lstituto di Studi superiori, voluto da Ricasoli come scuola privilegia-
ta a livello nazionale di alto perfezionamento, poi anch’esso di fatto e di di-
ritto divenuto Università autonoma nella stagione di Firenze capitale, aveva
questo preciso significato.
(…) Del resto, pochi
anni dopo, dopo la perdita del ruolo di capitale politica, proprio un piemon-
tese definitivamente trapiantato a Firenze, Carlo Alfieri di Sostegno, ritenne
che in Toscana dovesse nascere la scuola che formasse il ceto amministrativo
e politico della nuova Italia. Questo piemontese di antico lignaggio interpre-
tava in modo originale e corretto la specificità della Toscana, battendosi sul
terreno della cultura e dell’alta formazione contro un modello di università, che
si voleva, anch’esso, centralistico e uniformizzante. Egli proponeva una for-
mazione amministrativa radicata nella cultura dell’autonomia, secondo il mo-
dello del self-government che aveva imparato a conoscere nella sua permanen-
za in Inghilterra (…).
La storia dell’autonomia toscana è stata, dunque, storia di una faticosa con-
quista, sempre in lotta contro il disegno centralistico dell’amministrazione che
ha mantenuto e talora rafforzato, in particolare negli anni della dittatura fa-
scista, la sua presa sul territorio. Un passaggio storico fra i più alti di questa
storia è stata la lotta di Liberazione e il ruolo politico e amministrativo, oltre
che militare, assunto dal Comitato Toscano di Liberazione Nazionale nel de-
terminare, prima di qualsiasi condizionamento o imposizione provenienti del
governo militare alleato, soluzioni autonome di autogoverno nella regione. In
questo disegno politico e in questa cultura dell’autonomia affondano le radi-
ci della svolta della lotta di Liberazione che restituì agli italiani la dignita di
un popolo capace di autogoverno; in questo risiede la premessa della confi-
gurazione regionalistica dello Stato voluta dal Costituente. Ancora una volta,
in un momenta cruciale della storia del paese, il secondo Risorgimento, la To-
scana sapeva esprimere i suoi spiriti più alti.
Tuttavia, l’istituto regionale resto a lungo inattuato. Il neocentralismo am-
ministrativo che contraddiceva lo spirito di autonomia oltre che di liquida-
zione del trascorso fascista prevalse nel corso delle prime legislature repubbli-
cane. I fattori determinanti del centralismo che nel post Risorgimento erano
originati da dinamiche interne ora rispondevano a condizionamenti interna-
zionali, dal momento che il sistema dei partiti dell’Italia repubblicana era sta-
to costretto a configurarsi nella propria articolazione interna secondo regole
non scritte, rna cogenti di conventio ad excludendum. (…)

[Negli anni settanta] la Regione Toscana nacque male, senza slan-
cio, senza una reale carica riformatrice? Non proprio. Sono convinto della fon-
datezza di quanto scrive Marco Pignotti a proposito della «insospettata capa-
cita di autolegittimazione del sistema politico regionale». Nella realtà, sia pu-
re attraverso un processo lento e graduale di radicamento, l’istituto è divenu-
to parte integrante della coscienza civile dei toscani. Esso ha saputo insomma
farsi riconoscere e apprezzare.
Le ragioni sono, a mio avviso, duplici. La prima riguarda la cultura del-
l’autonomia, forte e radicata in Toscana come ho cercato di evidenziare agli
esordi di queste mie considerazioni (…).

Questa cultura si coniuga, infatti, col forte con-
tributo politico e culturale dato alIa nascita della Repubblica per il quale mi
esimo dal ricordare nuovamente i nomi dei padri costituenti espressi dalla To-
scana. La seconda riguarda lo spirito concorde fra Ie forze politiche maggiori
e minori, pur nelle diverse posizioni, che presiede ai lavori preparatori dello
statuto della Regione. La rappresentanza regionale seppe superare la logica del-
le divisioni dei partiti e delle diverse aggregazioni di maggioranza a livello na-
zionale e locale, trasponendo nell’opera di redazione dello statuto lo spirito an-
tico del Costituente. Cia che non avvenne sui piano nazionale, insomma, av-
venne suI piano locale, a posteriori, dopo le lunghe ed estenuanti transazioni
fra Firenze e Roma. La Toscana seppe trarre da sé lo spirito migliore delle sue
tradizioni civili. Seppe, insomma, ritrovare se stessa.

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