Essere città

Il modo  di  vedere, vivere e progettare  una  città  deve  essere cambiato. Siamo sostenitori di un’architettura del “care” dove al di là dell’impegno di un individuo nei confronti di un altro, dal curante al curato, coinvolge tutto un contorno di condizioni ottimizzanti molto diverse tra loro come la tipologia del luogo dove si risiede, cosa vedo  dalla finestra  della stanza e non per ultimo,  l’immersione in un ambiente familiare. Dobbiamo promuovere l’etica dell’attenzione che non è solo una semplice cura dell’altro ma la struttura urbana che ci circonda portatrice di cura, senza allontanarsi dalla realtà sociale e dai processi della vita sociale. L’architetto di oggi ha una grande responsabilità: trasformare una mancanza in una possibilità di esistenza. Concentrarsi unicamente sull’estetica e sull’efficacia è un errore, un approccio troppo limitato.
Interdisciplinarietà. Le nostre città si sono scoperte come centri mutilati, incapaci a dare servizi. Svanita la possibilità di accogliere gli abitanti, se non solo per rinserrarli nelle loro case. La città umana attende. In disparte. La città degli equilibri attende, pure questa. La vita invece è un luogo di scambio, di condivisione reciproca. La cura, la responsabilità e l’attenzione per l’altro attendono. Chi abita in città, lavoratori, pensionati, giovani, chiede più attenzione, rivendica i diritti più che una forma di assoggettamento.  Gli abitanti della città sono molto più attenti ai diritti che ai loro doveri segnando la città della tirannia del breve termine, della risposta immediata. L’importanza dello spazio-tempo. La struttura attuale della società, improntata all’individualismo, distrugge questo tempo comune, riducendo la capacità di relazione. La città veloce prende spazio e con questa l’unità si tramuta in disparità, città dove ci si perde e ci si affanna a cercare il proprio ritmo. Vogliamo una città empatica, che si prende cura dell’altro, aperta al dialogo, aperta al contesto, attenta al territorio. Prendiamo la città americana, il centro degli affari, le periferie lontane, le autostrade… perché si sono sviluppate cosi? Sono state le lobby capitaliste, automobilistiche, edilizie, petrolifere ad avere imposto questo tipo di città. Predazione del territorio collettivo. Se cultura, architettura e politica perdono il loro rapporto con il territorio, il paesaggio e i residenti, le cose non possono andare bene. I politici devono essere più attenti e meno influenzabili, lungimiranti. La politica non deve dimenticare il Patto Civico, la gestione equa ed etica degli equilibri.
Il mondo che ci attende, non potrà riprodurre il mondo di prima della Pandemia, altrimenti sarà la prova della nostra stupidità, una stupidità fondata sulla incapacità di convertire un fallimento in una risposta opportuna.