Katrín Jakobsdóttir

Un messaggio dall’Islanda

Un intellettuale toscano che lavora in Islanda, Maurizio Tani, ci ha inviato un contributo. La recente costituzione di un governo di unità nazionale nell’isola nordica diventa lo spunto per parlare della faziosità che affligge l’Italia, paese troppo artificiale, troppo grande, afflitto da poteri sempre troppo grandi e sempre troppo irresponsabili.


In Islanda torna la grande coalizione sinistra-centro-destro (il nuovo governo è guidato dalla leader verde Katrín Jakobsdóttir, nella foto). Un esempio da imitare anche in Italia, dove urge restituire l’esercizio della sovranità al popolo (ai popoli) per superare la cultura del consociativismo e dell´inciucio.

L’Islanda è un paese sovrano dal 1919, quando il governo centrale di Copenaghen decise di dare al paese atlantico, che allora contava circa 90.000 abitanti, l’autogoverno.  Da allora le grandi coalizioni sono state quasi la norma (https://en.wikipedia.org/wiki/List_of_cabinets_of_Iceland). Questo può sorprendere un osservatore italiano abituato a veder partiti e politici che entrano nel ring della politica nazionale a suon di grandi proclami, vasti armamentari ideologici, anatemi oltraggiosi all’avversario (“fascista!”, “comunista!”, “Stalinista!”).
Una faziosità che è spiegabile soprattutto con il fatto che l’Italia è un paese fatto di tanti paesi, dove la sovranità nazionale è stata affidata ad una comunità di “popolo italiano” astorica e incompatibile con i tempi e le modalità della democrazia.
Da noi non può esserci unità. Al messimo può aversi l’inciucio, ovvero un accordo sottobanco, tipo quello tra Renzi e Berlusconi via Verdini, che non può essere rivelato al “popolo italiano” (“inciucio” deriva dal napoletano “spettegolare parlando fitto e a bassa voce”; cfr. ). Da noi le decisioni vere si prendono nelle stanze, nei corridoi, nei salotti frequentati dai capi partito.
Altra cosa sarebbe se la sovranità venisse portata alle varie componenti territoriali che formano l’Italia, l’Italia vera, quella delle comunità storicamente determinate e socialmente coerenti, quelle che non hanno voce in capitolo e che troppo spesso sono abbandonate dallo stato in mano alle élite locali, che spesso in maniera clientelare, ovvero mafiosa, gestiscono il territorio, pronte ad andare a Roma a concordare quel “dare” e quell’“avere” che tiene insieme il tutto (almeno fino a che ci sarà qualcosa da “dare” e qualcosa da “avere”). In questo contesto unica forma di governo condiviso è l’inciucio, versione moderna del consociativismo.
Solo con la restituzione dell’esercizio della sovranità al popolo (ai popoli) d’Italia, con l‘autogoverno diffuso, per esempio con il federalismo (tipo quello che c’è in Germania, Svizzera o Austria), potremmo auspirare ad avere “grandi coalizioni” e non più “inciuci”. Solo così avremo – come in Islanda – partiti che antepongono gli interessi del paese a quelli delle fazioni e delle élite che prosperano grazie al fatto che il popolo (i popoli) sono estromessi dall’esercizio della sovranità.
Solo così il parlamento, federale, sarà espressione della sovranità popolare, del volere del “demos” della “res publica”, sarà un istituto democratico, e non più – come ben disse Carlo Cattaneo – un luogo di esercizio di poteri tra padrone e servo, un luogo sempre accondiscendente allo strapotere del governo centralista che in esso va a cercare legittimazione scontata (cfr. conferenza del prof. Fabio Minazzi, https://www.youtube.com/watch?v=5wDsnCpBEZc).
Ma la strada è lunga. Il lavoro da fare tanto, ma – come direbbe Nicole Orlando, l’atleta paraolimpica vincitrice di quattro medaglie d’oro ai mondiali del 2015 in Sud Africa – “Vietato dire non ce la faccio”!

Maurizio Tani
(5 dicembre 2017, da Reykjavík)