Vaìa Giani vaìa

Al presidente del parlamento toscano Eugenio Giani non abbiamo mai mancato di rispetto, ma stavolta, glielo diciamo con il sorriso, è andato proprio fori dal seminato.

Giani ha promosso una celebrazione del 27 aprile 1859 come una festa di “indipendenza” per la Toscana.

Ha comunicato ai media, dall’alto del suo prestigioso scranno e con tutta la potenza del suo ufficio stampa, che i 160 anni dall’esilio volontario di Leopoldo II di Lorena e l’addio commosso dei Fiorentini e dei Toscani al loro Granduca, vanno festeggiati perché con questi eventi la Toscana sarebbe diventata più “indipendente”. Vaia, Giani, vaia…

Purtroppo il sistema mediatico toscano (mediamente troppo poco preparato in materia di storia e politica locale) ha recepito più o meno acriticamente questa che è, in definitiva, una colossale bischerata.

I Toscani, che nel profondo amano l’ideale dell’autogoverno, prima o poi capiranno, studiando di più nelle scuole o magari anche grazie ai social, che è paradossale (orwelliano?) chiamare “indipendenza” l’annessione, e “patria” lo stato sabaudo che distrusse lo stato toscano.

Noi non partecipiamo mai all’infantile gioco della rilettura superficiale, astorica o addirittura antistorica, degli ultimi anni dello stato toscano, poco prima della sua forzata annessione al Piemonte, del plebiscito-truffa dei giorni 11-12 marzo 1860, del suo inserimento nella “modernità” degli stati (e dei loro crimini, del loro colonialismo, del loro industrialismo inquinante, delle loro guerre mondiali). Questa solenne sciocchezza promossa dall’ufficio stampa del presidente del parlamento toscano, però, va stigmatizzata.

La Toscana della metà dell’ottocento era piena di fermenti repubblicani, anarchici, socialisti. C’erano molti confederalisti italiani e persino confederalisti europei. C’erano anche molti aristocratici liberali che volevano l’annessione al Piemonte, non c’è dubbio, e infatti vinsero loro, con l’aiuto dei carabinieri piemontesi. Ma da qui a chiamare l’annessione “festa di indipendenza della Toscana”, ce ne corre!

Poero Giani, direbbe Babbo Leopoldo, ma soprattutto… Poeri noi.